IL PIU' GRANDE POETA DEL NOSTRO SECOLO

                                                        

PIER PAOLO PASOLINI 

 

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                                                                   LA VITA

Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna. Primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre, di vecchia famiglia ravennate, di cui ha dissipato il patrimonio sposa Susanna nel dicembre del 1921 a Casarsa. Dopodiche' gli sposi si trasferiscono a Bologna.

"Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della societa' italiana: un vero prodotto dell'incrocio... Un prodotto dell'unita' d'Italia. Mio padre discendeva da un'antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, cio' non le impedi' affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma"

P.P. Pasolini, Il sogno del centauro, a cura di Jean Duflot, Editori Riuniti, Roma 1983, pag. 17

  A Bologna la famiglia Pasolini resta poco: si trasferiscono a Parma, Conegliano, Belluno, Sacile, Idria, Cremona, ancora Bologna ed altre citta' del nord.

  "Hanno fatto di me un nomade. Passavo da un accampamento all'altro, non avevo un focolare stabile" PPP

  Nel 1925, a Belluno, nasce il secondogenito, Guido. Visti i numerosi spostamenti, l'unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa.

Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi, mentre si accentuano i contrasti col padre.

  "Tutte le sere aspettavo con terrore l'ora della cena sapendo che sarebbero venute le scenate (...) In me c'era una iniziale rimozione della madre che mi ha procurato una nevrosi infantile. Questa nevrosi mi aveva fatto diventare inquieto, di un'inquietudine che metteva in discussione in ogni momento il mio essere al mondo. (...) Quando mia madre stava per partorire ho cominciato a soffrire di bruciori

agli occhi. Mio padre mi immobilizzava sul tavolo della cucina, mi apriva l'occhio con le dita e mi versava dentro il collirio. E' da quel momento simbolico che ho cominciato a non amare piu' mio padre"

Intervista a Dacia Maraini in "Vogue", maggio 1971

 

Riferendosi alla madre:

 

"Mi raccontava storie, favole, me le leggeva. Mia madre era come Socrate per me. Aveva e ha una visione del mondo certamente idealistica e idealizzata. Lei crede veramente nell'eroismo, nella carita', nella pieta', nella generosita'. Io ho assorbito tutto questo in maniera quasi patologica".

Intervista a Dacia Maraini in "Vogue", maggio 1971

 

Con il fratello Guido vive un rapporto di amicizia. Il fratello minore vive in una sorta di venerazione per il maggiore: bravo nello studio e nei giochi con gli altri ragazzi. Questa ammirazione accompagnera' Guido fino al giorno della sua morte.

 

I primi anni di scuola sono compiuti tra innumerevoli trasferimenti che, comunque, non intaccano il rendimento scolastico di Pier Paolo. Frequenta la scuola elementare con un anno d'anticipo. Nel 1928 e' l'esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui ne seguirono altri, andra' perduto nel periodo bellico.

Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano.

Di quegli anni il passo noto come Teta veleta, che Pasolini piu' tardi spieghera' in questo modo:

 

"Fu a Belluno, avevo poco piu' di tre anni. Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, piu' di ogni altra cosa mi colpirono le gambe soprattutto nella parte convessa interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento. Vedevo in quei nervi scattanti un simbolo della vita che dovevo ancora raggiungere: mi rappresentavano l'essere grande in quel gesto di giovanetto corrente. Ora so che era un sentimento acutamente sensuale. Se lo riprovo sento con esattezza dentro le viscere l'intenerimento, l'accoratezza e la violenza del desiderio. Era il senso dell'irraggiungibile, del carnale - un senso per cui non e' stato ancora inventato un nome -. Io lo inventai allora e fu "teta veleta". Gia' nel vedere quelle gambe piegate nella furia del gioco mi dissi che provavo "teta veleta", qualcosa come un solletico, una seduzione, un'umiliazione"

P.P. Pasolini, in Nico Naldini, Cronistoria, cit., pag XVI                                                           

 

Lo stesso Pasolini precisera':

 

"La mia infanzia finisce a 13 anni. Come tutti: tredici anni e' la vecchiaia dell'infanzia, momento percio' di grande saggezza. Era un momento felice della mia vita. Ero stato il piu' bravo a scuola. Cominciava l'estate del '34. Finiva un periodo della mia vita, concludevo un'esperienza ed ero pronto a cominciarne un'altra. Questi giorni che hanno preceduto l'estate del '34 sono stati tra i giorni piu' belli e gloriosi della mia vita"

P.P. Pasolini, in AA.VV., Pasolini, una vita futura, Ass. Fondo Pasolini, Garzanti, Milano, 1985

 

Pier Paolo conclude gli studi liceali e a 17 anni si iscrive all'Universita' di Bologna, facolta' di lettere. Negli anni del liceo da' vita, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini (di cui Guido Pasolini prendera' a prestito il nome per la sua militanza partigiana nella Osoppo), Fabio Mauri, ad un gruppo letterario per la discussione di poesie. Collabora a "Il Setaccio", il periodico del GIL bolognese. In questo periodo Pasolini scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, Poesie a Casarsa.

P. partecipa a una rivista, "Stroligut", con altri amici letterati friulani, con cui ha creato la "Academiuta di lenga frulana". Il dialetto rappresenta una sorta di opposizione al potere fascista:

  "Il fascismo non tollerava i dialetti, segni / dell'irrazionale unita' di questo paese dove sono nato / inammisibili e spudorate realta' nel cuore dei nazionalisti /"

P.P. Pasolini, il poeta delle ceneri, a cura di Enzo Siciliano, in "nuovi argomenti" n. 67-68, Roma, luglio dicembre 1980.

  L'uso del dialetto rappresenta, anche, un tentativo di privare la Chiesa dell'egemonia culturale sulle masse sottosviluppate. Mentre la sinistra predilige infatti, l'uso della lingua italiana, e se si eccettuano alcuni sporadici casi del giacobinismo, e' stata una prerogativa clericale, Pasolini tenta appunto di portare anche a sinistra un approfondimento, in senso dialettale, della cultura.

                      a Casarsa rappresenta, negli anni dell'universita', il ritorno ad un luogo felice per Pasolini. Scrive a Silvana Ottieri in una lettera dell'aprile '47:

  "Che si fosse di sabato Santo era un particolare che mi lasciava freddo. Tu avessi visto i colori dell'orizzonte e della campagna! Quando il treno si fermo' a Sacile, in un silenzio fittissimo, da ultima Tule, ho sentito di nuovo le campane. La', dietro alla stazione di Sacile si spiegava verso la campagna una strada che non so se ho percorso durante l'infanzia o se ho sognato..."

 LA GUERRA E LA MORTE DI GUIDO

  La secondo guerra mondiale rappresenta per Pasolini un periodo estremamente difficile. Il suo stato d'animo si intuisce dal tenore delle sue lettere:

  "Quanto a salute non c'e' male, anzi bene. Quanto a morale, anche, quando tutto e' calmo, cioe' raramente. Del resto, molta paura. Paura di lasciarci la pelle, capisci, Rico? E non soltanto la mia, ma quella degli altri. Siamo tutti cosi' esposti al destino; poveri uomini nudi"

Lettera al pittore De Rocco, autunno '44

  "Non so se ci rivedremo, tutto puzza di morte, di fine, di fucilazione.... Tutto puzza di spari, tutto fa nausea, se si pensa che su questa terra cacano quei tali. Vorrei sputare sopra la terra, questa cretina, che continua a mettere fuori erbucce verdi e fiori gialli e celesti, e gemme sugli alberi..."

P.P.P. Lettere agli amici, a cura di Luciano Serra, Milano 1976, lett. IX passim.

  Pasolini viene arruolato sotto le armi a Livorno, nel 1943. All'indomani dell'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Dopo vari spostamenti in Italia torna a Casarsa. La famiglia Pasolini decide di recarsi a Versuta, al di la' del Tagliamento, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi tedeschi. Qui insegna ai ragazzi dei primi anni del ginnasio.

  Ma l'avvenimento che segnera' quegli anni e' la morte del fratello Guido.

Guido non accetta di rimanere nascosto a Versuta. Pier Paolo accompagna Guido alla stazione, dopo aver preso un biglietto per Bologna, in modo da sviare i sospetti. Da Spilimbergo raggiunge Pielungo aggregandosi alla divisione partigiana Osoppo. Assume il nome di battaglia di Ermes, il nome di Parini, uno degli amici di Pier Paolo disperso nella campagna di Russia. 

Tra i vari gruppi della resistenza antifascista friulana nascono conflitti intestini. I comunisti delle brigate garibaldine premono per un'annessione del Friuli alla Jugoslavia titoista, mentre la brigata Osoppo si fa paladina della italianieta' del Friuli. Guido scrive in proposito a Pier Paolo, perche' si impegni, con suoi articoli, a difendere le posizioni della Osoppo. Pasolini non scrivera' mai quegli articoli.

Nel febbraio del 1945 Guido viene massacrato, insieme al comando della divisione osavana. I fatti avvengo nelle malghe di Porzus: un centinaio di garibaldini si avvicinano fingendosi degli sbandati, catturano quelli della Osoppo e li passano per le armi. Guido, seppure ferito, riesce a fuggire e viene ospitato da una contadina. Viene trovato dai garibaldini, trascinato fuori e massacrato. La famiglia Pasolini sapra' della morte e delle circostanze solo a conflitto terminato. Scrive Pasolini:

  "Spesso penso al tratto di strada tra Musi e Porzus, percorso da mio fratello in quel giorno tremendo, e la mia immaginazione e' fatta radiosa da non so che candore ardente di nevi, da che purezza di cielo. E la persona di Guido e' cosi' viva"

  Cosi' Pasolini raccontera' su "Vie nuove", periodico comunista, del 15/09/1971, rispondendo ad un lettore che chiedeva chiarimenti sulla morte di Guido:

  "La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni. Egli e' subito entrato nella Resisentenza. Io, poco piu' grande di lui, l'avevo covinto all'antifascismo piu' acceso, con la passione dei catecumeni, perche' anch'io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conscenza che il mondo in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo. Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed ero liberale, con tendenza al partito d'azione) hanno portato con se' Guido ad una lotta attiva. Dopo pochi mesi egli e' partito per la montagna, dove si combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L'ho accompagnato al treno, con la sua valigietta, dov'era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesie. Ci siamo abbracciati: era l'ultima volta che lo vedevo.

Sulle montagne, tra il Friuli e la Jugoslavia, Guido combatte' a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribile: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato piu'. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perche' era un ragazzo di una generosita' che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo piu' tragico ancora.

Lei sa che la Venezia Giulia e' al confine tra l'Italia e la Jugoslavia: cosi', in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi l'intero territorio e non soltanto quello che, in realta', le spettava. Mio fratello, pur iscritto al partito d'azione, pur intimamente socialista (e' certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com'e' il Friuli, potesse essere mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose, e lotto'. Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perche' ognuno tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza jugoslava, ancor piu' che quella italiana, era comunista: sicche' Guido, venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c'erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.

Egli mori' in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: e' morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l'operato dell'operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed e' il ricordo di lui, della sua generosita', della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta cosi', in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi da' nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla e' semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto e' la lucidita' critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nella cose, dentro la loro segreta e inalienabile verita'".

  Pasolini mettera' in versi nel Corus in morte di Guido, che appariranno nello "Stroligut" dell'agosto 1945:

 

La livertat, l'Itaia

e quissa diu cual distin disperat

a ti volevin

dopu tant vivut e patit

ta quistu silensiu

Cuant qe i traditours ta li Baitis

a bagnavin di sanc zenerous la neif,

"Sçampa - a ti an dita - no sta torna' lassu'"

I ti podevis salvati,

ma tu

i no ti às lassat bessòi

i tu cumpains a muri'.

"Sçampa, torna indavour"

I te podevis salvati

ma tu

i ti soso tornat lassu',

çaminant.

To mari, to pari, to fradi

lontans

cun dut il to passat e la to vita infinida,

in qel di' a no savevin

qe alc di pi' grant di lour

al ti clamava

cu'l to cour innosent

  Guido avra' effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e la madre diviene ancora piu' stretto, anche a causa del ritorno del padre dalla prigionia in Kenia:

 

"Egli fini' cosi' a Casarsa, in una specie di nuova prigionia: e comincio' la sua agonia lunga una dozzina di anni"

Il profilo autobiografico in ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E.F. Accrocca, Venezia, 1960

 

Ecco come, anni dopo, la morte di Guido viene strumentalizzata dai giornali della destra italiana, allo scopo di attaccare, per l'ennesima volta e con l'ennesimo canagliesco cinismo, Pasolini:

 

"Pier Paolo, scrittore marxista, impugna le idee e difende i sistemi dei massacratori di suo fratello" Secolo d'Italia - 24 settembre 1960

 

"Il fratello di Pasolini fu ucciso dai comunisti. Avrebbe chiesto invano aiuto al fratello Pier Paolo" Il Tempo - 26 marzo 1970

 

 

L'immediato dopoguerra

 

Nel 1945 Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliniana (introduzione e commenti) e si stabilisce definitivamente in Friuli. Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine.

In questi anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 si avvicina al PCI, cominciando la collaborazione al settimanale del partito "Lotta e lavoro". Le circostanze della morte del fratello Guido rappresentano sicuramente una difficolta' da superare per l'adesione al PCI. Pasolini comunque ha sempre evitato strumentalizzazioni di quella faccenda, gli sembrava di infangare la memoria di Guido. Pier Paolo dovra' giustificare quell'adesione anche verso la madre e il padre, il quale incolpava la moglie di aver permesso che Guido frequentasse degli sbandati.

L'adesione al PCI rappresenta per il giovane poeta un atto di profondo coraggio: intendeva con cio' sacrificare il profondo dolore inferto a se e alla propria famiglia, a un ideale sociale da condividere in pieno con quello stesso PC friulano che guido', politicamente, gli assassini del fratello.

Pasolini diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio nel partito, e soprattutto dagli intellettuali comunisti friulani. Questi ultimi scrivono soggetti politici servendosi della lingua del novecento, mentre Pasolini scrive con la lingua del popolo senza cimentarsi per forza in soggetti politici. Agli occhi di molti tutto cio' risulta inammisibile: in P. molti comunisti vedono un sospetto di disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese.

In questi anni P. conosce il pittore Zigaina, cui rimmarra' legato per tutto il resto della sua vita da una profonda amicizia.

Questo periodo, il periodo della militanza comunista, e' l'unico in cui P. si sia impeganto attivamente nella lotta politica. Di questi anni i manifesti murali disegnati e scritti da Pier Paolo Pasolini; scritti di denuncia contro il costituito potere demoscristiano.

 

Il 15 ottobre del 1949 P. viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne: e' l'inizio di una delicata ed umiliante trafila giudiziaria che cambiera' per sempre la vita di Pasolini. Dopo questo processo molti altri ne seguirono, ma e' lecito pensare che se non vi fosse stato questo primo procedimento gli altri non sarebbero seguiti.

P. viene accusato di essersi appartato il 30 settembre 1949 nella frazione di Ramuscello con due o tre ragazzi. I genitori dei ragazzi non sporgono denuncia ma i Carabinieri di Cordovado venuti a sapere delle voci che girano in paese indagano sul fatto. E' un periodo di contrapposizioni molto aspre tra la sinistra e la DC, siamo in piena guerra fredda e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale comunista e anticlericale rappresenta un bersaglio molto vulnerabile. La denuncia per i fatti di Ramuscello viene ripresa sia dalla destra che dalla sinsitra: prima ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949,  P. viene espulso in malomodo dal PCI. Questo quanto riportato da l'Unita' del 29 ottobre:

 

"ESPULSO DAL PCI IL POETA PASOLINI "

La federazione del PCI di Pordenone ha deliberato in data 26 ottobre l'espulsione dal partito del Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarza per indegnita' morale.

Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si voglione atteggiare a progressisti, ma che in realta' raccolgono i piu' deleteri aspetti della generazione borghese".

 

Pasolini si trova proiettato nel giro di qualche giorno in un baratro apparentemente senza uscita. La risonanza a Casarsa dei fatti di Ramuscello avra' una vasta eco. Davanti ai carabinieri cerca di giustificare quei fatti, intrinsecamente confermando le accuse, come una esperienza eccezionale, una sorta di sbandamento intellettuale: questo non fa che peggiorare la sua posizione: espulso dal PCI, perde il posto di insegnante, si incrina momentaneamente il rapporto con la madre, e' la disfatta. Pasolini decide di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli spesso mitizzato; insieme alla madre si trasferiscono a Roma, e' l'inizio di una nuova vita per Pier Paolo. Scrivera' in seguito:

 

"Fuggii con mia madre e una valigia e un po' di gioie che risultarono false, / su un treno lento come un merci, / per la pianura friulana coperta da un leggero e duro strato di neve. / Andavamo verso Roma. / Andavamo dunque, abbandonato mio padre / accanto a una stufetta di poveri, / col suo vecchio pastrano militare / e le sue orrende furie di malato di cirrosi e sindromi paranoidee. / Ho vissuto quella / pagina di romanzo, l'unica della mia vita: / per il resto, / son vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso".

P.P. Pasolini, il poeta delle ceneri, a cura di Enzo Siciliano, in "nuovi argomenti" n. 67-68, Roma, luglio dicembre 1980.

 

 

Roma

  I primi anni romani sono dificilissimi per Pasolini, proiettato in una realta' del tutto nuova e inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi d'insicurezza, di poverta', di solitudine. Una situazione drammatica che meglio si evince dalle stesse parole di P.:

  "Era un periodo termendo della mia vita. Giunto a Roma dalla lontana campagna friulana: disoccupato per molti anni; ignorato da tutti; divorato dal terrore interno di non essere come la vita voleva; occupato a lavorare accanitamente a studi pesanti e complicati; incapace di scrivere se non ripetendomi in un mondo ch'era cambiato. Non vorrei mai rinascere per non rivivere quei due o tre anni"

P.P. Pasolini, Il treno di Casarsa, in "FMR", n. 28, novembre 1984, Franco Maria Ricci, Milano pag. 122.

  Nei primi mesi del '50 ero a Roma, con mia madre: mio padre sarebbe venuto anche lui, quasi due anni dopo, e da Piazza Costaguti saremmo andati a abitare a Ponte Mammolo; gia' nel '50 avevo cominciato a scrivere le prime pagine di Ragazzi di vita. Ero disoccupato, ridotto in condizioni di vera disperazione: avrei potuto anche morirne. Poi con l'aiuto del poeta in dialetto abruzzese Vittori Clemente trovai un posto di insegnante in una scuola privata di Ciampino, a venticinuque mila lire la mese"

Il profilo autobiografico in ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E.F. Accrocca, Venezia, 1960

  Scrive Pasolini in quegli anni a Silvana Ottieri:

  "Una cosa che non capisco, e che non rientra nei calcoli, nel conto tra me e chi mi punisce, e' il destino di mia madre. Non te ne scrivero' a lungo, perche' ho gia' le lacrime agli occhi. Ha trovato lavoro presso una famigliola (marito e moglie con un bambinello di due anni): e con un eroismo e una semplicita' che non ti so dire, ha accettato la sua nuova vita. Vado a trovarla ogni giorno e le porto a spasso il bambino, per aiutarla un po': lei fa di tutto per mostrarsi contenta e leggera: ieri era il giorno del mio compleanno, e tu sapessi come si e' comportata.."

Lettera a Silvana Ottieri

  Il padre e' malato, e dopo i fatti di Casarsa si sono accentuati i contrasti con il figlio:

  "Due anni di lavoro accanito, di pura lotta: e mio padre sempre la', in attesa, solo nella povera cucinetta, coi gomiti sul tavolo e la faccia contro i pugni, immobile, cattivo, dolorante; riempiva lo spazio del piccolo vano con la grandezza che hanno i corpi morenti".

Il profilo autobiografico in ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E.F. Accrocca, Venezia, 1960

  Pasolini piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce, per pudore, cerca da solo di trovarsi un lavoro. Tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecitta'; fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali.

Finalmente, grazie al poeta il lingua abbruzzese Vittori Clemente trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino.

Sono gli anni in cui P. trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso processo di crescita: nasce il mito del sottoproletariato romano.

 

"Sono due o tre anni che vivo in un mondo dal sapore "diverso": corpo estraneo e quindi definito di questo mondo, mi ci adatto con prese di coscienza molto lente. Tra ibsnesiano e pascoliniano (per intenderci...) sono qui in una vita tutta muscoli, rovesciata come un guanto, che si spiega sempre come una di queste canzoni che una volta detestavo, assolutamente nuda di sentimentalismi, in organismi umani cosi' sensuali da essere quasi meccanici; dove non si consoce nessuno degli attegiamenti cristiani, il perdono, la mansuetudine ecc... e l'egoismo prende forme lecite, virili (.....)

Nel mondo settentrionale dove io sono vissuto, c'era sempre, e almeno mi pareva, nel rapporto tra individuo e individuo, l'ombra di una pieta' che prendeva forme di timidezza, di rispetto, di angoscia, di trasporto affettuoso ecc.: per vincolarsi in un rapporto di amore bastava un gesto, una parola. Prevalendo l'interesse verso l'intimo, verso la bonta' o la cattiveria che e' dentro di noi, non era un equilibrio che si cercava tra persona e persona, ma uno slancio reciproco. Qui tra questa gente ben piu' succube dell'irrazionale, della passione, il rapporto e' sempre invece ben definito, si fasa su fatti piu' concreti: dalla forza muscolare alla posizione sociale".

Lettera a Silvana Ottieri

 

P. prepara le antologie sulla poesia dialettale; collabora a "Paragone", una rivista di Anna Banti e Roberto Longhi. Proprio su "Paragone" P. pubblica la prima versione del primo capitolo di "Ragazzi di vita".

Angioletti lo chiama a far parte della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cartaneo. Sono definitivamente alle spalle i difficili primi anni romani.

Nel 1954 P. abbandona l'insegnamento e si stabilisce a Monteverde Vecchio. Pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: "La meglio gioventu'".

Nel 1955 viene pubblicato da Garzanti  il romanzo "Ragazzi di vita", che ha un vasto successo, sia di critica che di seguito. Il giudizio della cultura ufficiale del PCI e' in gran parte negativo. Il libro viene definito intriso di "gusto morboso, dello sporco, del'abbietto, dello scomposto, del torbido.."

La Presidenza del Consiglio (nella persona dell'allora ministro degli interni, Tambroni) promuove un'azione giudiziaria contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo da' luogo all'assoluzione "perche' il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto alle librerie, viene dissequestrato.

Pasolini diventa uno dei bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera: viene accusato di reati al limite del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni di un bar limitrofo a un distributore di benzina a S. Felice Circeo.

 

Nel 1957 Pasolini, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, "Le notti di Cabiria", stendendone i dialoghi nella parlata romana. Firma le sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce come attore nel film "Il gobbo" del 1960.

 

In quegli anni P. collabora alla rivista "Officina" accanto a Leonetti, Roversi, Fortini, Romano', Scalia. Nel 1957 pubblica i poemetti "Le ceneri di Gramsci" per Garzanti, e l'anno successivo, il 1958 per Longanesi, "L'usignolo della Chiesa cattolica". Nel 1960 Garzanti pubblica i saggi "Passione e ideologia", e nel 1961 un altro volume in versi "La religione del mio tempo".

Nel 1961 P. realizza il suo primo film da regista e soggettista, "Accattone". Il film viene vietato ai minori di anni diciotto e suscita non poche polemiche alla XXII mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 dirige "Mamma Roma". Nel 1963 l'episodio "La ricotta" diretto da Pasolini e inserito nel film "RoGoPaG", viene sequestrato e P. e' impuato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel '64 dirige "Il vangelo secondo Matteo"; nel '65 "Uccellacci e Uccellini"; nel '67 "Edipo re"; nel '68 "Teorema"; nel '69 "Porcile"; nel '70 "Medea"; tra il '70 e il '74 la triologia della vita, o del sesso, ovvero "Il Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle mille e una notte"; per concludere col suo ultimo "Salo' o le 120 giornate di Sodoma" nel 1975.

 

Il cinema lo porta a intraprendere numerosi viaggi all'estero: nel 1961 e', con Elsa Morante e Moravia, in india; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (da cui trarra' un documentario dal titolo Sopralluoghi in Palestina).

Nel 1966, in occasione della presentazione di Accattone e Mamma Roma al festival di New York, compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti; rimane molto colpito da quel paese e soprattutto da New York. Confessera' a Oriana Fallaci:

 

"Non mi era mai successo di innamorarmi cosi' di un paese. Fuorche' in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare, per non ammazzarmi. Si', l'Africa e' come una droga che prendi per non ammazzarti. New York invece e' una guerra che affronti per ammazzarti"

Oriana Fallaci, lettera a Pier Paolo Pasolini, in "Europeo", 14 novembre 1975

 

Nel 1968 P. e' di nuovo in India per girare un documentario. Nel 1970 torna in Africa: in Uganda e Tanzania, da cui trarra' il documentario Appunti per un'Orestiade africana.

Nel 1972, presso Garzanti, pubblica i suoi interventi critici, soprattutto di critica cinematografica, nel volume Empirismo eretico.

 

Negli anni della contestazione studentesca Pasolini assume una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra. Seppure accetta e appoggia le motivazioni ideologiche degli studenti, ritiene che questi siano antropologicamente dei borghesi, ed in quanto tali destinati a fallire nel loro tentativo di rivoluzione.

Nel 1968 P. ritira dalla competizione del Premio Strega il suo romanzo Teorema e accetta di partecipare alla XXIX mostra del cinema di Venezia solo dopo che, come gli e' stato garantito, non ci saranno votazioni e premiazioni. P. e' tra i maggiori sostenitori dell'Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere l'autogestione della mostra. Il 4 settembre il film Teorema viene proiettato per la critica in un clima arroventato. P. interviene alla proiezione del film per ribadire che il film e' presente alla Mostra solo per volonta' del produttore, ma in quanto autore prega i critici di abbandonare la sala. Cio' non avviene. P. si rifiuta di partecipare alla trazionale conferenza stampa, e invita i giornalisti nel giardino di un albergo per parlare non del film, ma della situazione della Biennale.

Nel 1972 Pasolini decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua, ed insieme ad alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre.

 

Nel 1973 comincia la sua collaborazione al "Corriere della sera", con interventi critici sui problemi del paese.

Nel 1970 P. acquista quel che resta di un castello medievale nei pressi di Viterbo. Lo ristruttura e qui comincia la stesura della sua opera incompiuta Petrolio.

Nel 1975, presso Garzanti, pubblica la raccolta di interventi critici Scritti corsari, e ripropone le poesia friulana in una forma curiosa sotto il titolo di La nuova gioventu'.

La mortelLA  MORTE

La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell'idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. E' Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini.

  "Quando il suo corpo venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l'altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Nerolivide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a meta', e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segni degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un'orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato".

Perizia compiuta sul cadavere di P., "Corriere della sera" del 2.11.77

  Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risultera' di proprieta' di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei fatti, confessa l'omicidio. Racconta di aver incontrato P. presso la Stazione Termini, e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; li', secondo la versione del Pelosi, P. avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respisto, avrebbe reagito violentemente, cosi' la reazione del ragazzo.

Il processo che ne segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si paventa da diverse parti il concorso di altri nell'omicidio. Non vi sara' mai chiarezza su questo punto. Piero Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di Pasolini.

  Il corpo di Pasolini vera' sepolto a Casarsa.

  "E' dunque assolutamente necessario morire, perche' finche' siamo vivi manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) e' intraducibile: un caos di possibilita', una ricerca di relazioni e di significati senza soluzion e di continuita'. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non piu' ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile (nell'ambito appunto di una Semiologia Generale).

Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci".

P.P. Pasolini, Empirismo eretico, pag. 241, Garzanti                         

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